L’evento, gratuito e libero, vedrà l’artista in dialogo con Antonella Capitanio, professoressa di Storia dell’arte moderna all’Università di Pisa.
In mostra a Villa Trossi, 28 opere condensano quarantacinque anni di attività artistica dell’artista livornese classe 1955. Con una formazione di grafico pubblicitario, Fabio Peloso fin da giovanissimo matura la sua pratica artistica sul campo. Ad appena venticinque anni, a Milano alla galleria Cannaviello espone un lavoro caratterizzato dalla decontestualizzazione di motivi decorativi geometrici rilevati dalle architetture trecentesche toscane: un’operazione che elevava la decorazione a momento primario, svincolato dalla narrazione figurativa.
Nel 1980 è invitato da Achille Bonito Oliva a partecipare alla mostra itinerante “Genius Loci” ad Acireale, a Malo a Ferrara, dove “in vista del coinvolgimento dell’ambiente, Peloso costruisce anche degli elementi lignei (vere e proprie sculture- oggetto, decorative esse stesse) completamente ricoperti di motivi ornamentali e sagomati a sezione d’arco, da applicare tra la parete e il soffitto.” (Laura Cherubini, in Achille Bonito Oliva, “La transavanguardia internazionale” 1982).
Legato dunque in quegli anni alla riflessione sull’identità artistica italiana, una delle vie del postmodernismo internazionale che ha messo fine all’epoca delle narrazioni, del nuovo a tutti i costi e della fiducia nel progresso lineare della società capitalista, Fabio Peloso partecipa nel 1982 alla mostra “Avanguardia Transavanguardia” alle mura Aureliane a Roma e, nello stesso anno, alla mostra “Critica ad Arte” a Pisa organizzate da Achille Bonito Oliva.
Nel 1984 inizia ad approfondire la pratica dello Zen, con la frequentazione assidua di insegnanti accreditati in Italia e all’estero, pratica che continua attualmente in qualità anche d’insegnante. La mutata percezione della propria realtà influenza naturalmente la sua espressione artistica. Da un lavoro incentrato sul metalinguaggio tipico degli anni Ottanta la ricerca si sposta sulle possibilità linguistiche di poter esprimere la propria esperienza di vita in un modo nuovo.
Questa esigenza linguistica “spirituale” è comune a vari artisti che fanno riferimento a Carlo Cattelani, un collezionista che insieme a Luciano Pistoi organizza nel 1992 nel Castello di Volpaia a Radda in Chianti la mostra “Il paese delle meraviglie e le tavole della legge”. Alla fine degli anni Novanta le ‘parole’ che Peloso inserisce nelle composizioni di legno e plexiglas a contrasto, diventano ‘frasi’ dipinte su pannelli di plastica riprese dagli insegnamenti dei maestri Zen, impaginate in modo da non comprenderne subito il significato. Queste opere vengono esposte nel 1999 alla galleria Lawrence Rubin a Milano, primo artista italiano dopo Rauschenberg e Warhol.
Nel 2003 alla galleria Susanna Orlando a Forte dei Marmi con la mostra personale “Non due” l’artista analizza pittoricamente un concetto fondamentale del Buddismo, quel segno di demarcazione che dà il senso della distinzione e della necessità degli opposti.
Negli anni successivi, la ricerca di coerenza tra l’esperienza spirituale e la ricerca artistica si sostanzia in una serie di piccoli quadri in cui Peloso ripete la parola ‘questo’. Il termine, come scrive Peloso nel 2006, « ha una doppia valenza linguistica. Rimanda tautologicamente a ciò che vediamo, al suo significato semantico, ma al contempo indica l’indifferenziato che permea tutte le cose che pensiamo di capire attraverso l’intelletto raziocinante. La parola è illeggibile da vicino, allontanandosi dall’opera ad una certa distanza rimane fuori fuoco ma leggibile ed è possibile cogliere quel “nascosto” che continua a sfuggirci che è la fonte della nostra sofferenza. “Questo” nascosto non è da cercare lontano ma è in seno all’evidenza, si esibisce continuamente, è così manifesto da non poterlo vedere perché affidiamo la conoscenza alla mente discriminante. Disvelando il velo dell’illusione appare il colore come metafora della realtà liberata da ogni “significato”».
Le opere della più recente riflessione dell’artista sono realizzate interamente in plexiglas smerigliato e colorato sul fondo: presentate nel 2015 alla galleria Susanna Orlando a Pietrasanta, queste scatole in plexiglas sono posizionate nello spazio, sulle pareti o negli angoli, attraversate dalla luce che interagisce con l’opera a seconda dell’incidenza del momento. Questo colore che è luce e questa luce che è colore si espande sulla parete cromatizzando l’ambiente immediatamente circostante con riflessi aloni e trasparenze. Una pittura evanescente che si fa aria.
(8 ottobre 2024)
©gaiaitala.com 2024 – diritti riservati, riproduzione vietata